Da L’Espresso

Lo scorso anno 251 mila abitazioni sono state depredate da un furto. Ma in cella 
per questo reato ci sono solo 3600 persone. Perché le indagini non si fanno quasi mai. E così il senso di insicurezza dei cittadini continua a crescere

Ogni casa un furto, inesorabilmente. A Lesignana, una piccola frazione alle porte di Modena, si sentono prigionieri di un incubo, come se quell’angolo di pianura padana fosse Far West: rubano in ogni abitazione, in ogni negozio. Ma la stessa esasperazione riguarda la maggioranza degli italiani, nel centro di Roma, di Bologna o di Milano come nel più remoto dei paesini: le mura domestiche non sono più sinonimo di sicurezza, anzi. Le razzie negli appartamenti e nelle ville stanno diventando la regola. E quello che rende ancora più inaccettabile la situazione è la sfiducia nelle istituzioni: c’è la consapevolezza che la denuncia fa soltanto perdere tempo per riempire moduli. Perché nessuno si impegnerà per catturare i ladri e non ci saranno provvedimenti per sconfiggere l’assalto.

Non è un sentimento irrazionale, non è una proiezione delle paure: oggi il 99 per cento dei furti in casa restano di fatto impuniti. È un dato choc, che “l’Espresso” ricava dal confronto tra i detenuti per questo tipo di reato e il totale di razzie domestiche messe a segno nel 2014: in carcere sono finite 3600 persone mentre i colpi sono stati 251.558. Due numeri che fotografano l’angoscia. E che trovano riscontro nell’ultima statistica ufficiale, elaborata dall’Istat sulla base delle informazioni del ministero dell’Interno: nel 2013 solo il 2,9 per cento dei responsabili dei furti in abitazione commessi nel corso dell’anno è stato individuato, anche se una fetta consistente di loro se l’è cavata con una denuncia a piede libero.

Una pacchia per i delinquenti. Scassinare porte e finestre gli permette di fare rapidamente incetta di gioielli, orologi, computer, telefonini e contanti. Un bottino facile, praticamente senza rischi. Mentre per chi viene derubato c’è una ferita profonda. Li chiamano topi d’appartamento, li paragonano al galante Arsenio Lupin ma la realtà è sempre traumatica. Spesso all’irruzione si accompagna lo sfregio, la devastazione gratuita di mobili e oggetti. E in tutti i casi siamo di fronte a un reato traumatico, che lascia un danno psicologico pesante nelle vittime. Anche quando la perdita economica è limitata, si ferisce il senso più profondo della sicurezza. «Colpire l’abitazione assume un valore simbolico e culturale molto forte. Violare il luogo dell’intimità domestica può avere un forte impatto sul vissuto delle persone, generando anche traumi profondi», sottolinea a “l’Espresso” Marco Dugato, ricercatore di Transcrime e tra gli autori dello studio su questo fenomeno, realizzato in collaborazione con il Viminale, che verrà presentato a fine aprile.

Svaligiare case è il crimine che sta dilagando. Anche a Pasqua, decine di colpi. A Pisa hanno derubato i genitori di un consigliere comunale del Pd; a Legnano sono penetrati nella canonica durante la veglia nottuna, portando via telefonino e pc del parroco. E non si può definirla un’emergenza, perché da dieci anni l’assalto cresce senza sosta: dal 2003 le denunce sono raddoppiate. Il picco più alto è stato raggiunto nel 2014, arrivando a 251 mila assalti alle mura domestiche. A parte i danneggiamenti, che spesso sono funzionali all’irruzione negli appartamenti, si tratta del reato più numeroso in assoluto. Ogni giorno 689 incursioni, in pratica 29 ogni ora: ogni due minuti un ladro penetra in un’abitazione. Basta poco. Ci sono le “chiavi bulgare”, che riescono ad avere ragione di ogni serratura. E per i predoni meno raffinati si usano piedi di porco o cric, devastando porte blindate o serramenti antiscasso. Non esistono difese inespugnabili.

UN’ARMATA DI SOLITI IGNOTI

La politica si è accorta dell’emergenza. Ma l’unica risposta all’angoscia dei cittadini è una proposta del ministero della Giustizia: aumentare le pene. Dovrebbero diventare da un minimo di due al massimo di otto anni di carcere, rispetto al tetto di sei previsti oggi. Misura che renderebbe più difficile evitare il carcere sfruttando la condizionale. E vanificherebbe la prescrizione. Ma il problema non è questo. I razziatori di case che ne beneficiano sono pochi: secondo il ministero, solo tra il 4 e il 5 per cento sfugge alle condanne grazie alla prescrizione.

No, qui c’è un guasto più drammatico: i ladri non vengono individuati quasi mai, restano una moltitudine di soliti ignoti. A Firenze tra il 2013 e il 2015 la procura ha aperto più di 11 mila procedimenti per furti in casa, ma quelli con un presunto colpevole sono appena 206. A Milano le cose vanno meglio: i fascicoli contro ignoti sono più di 9 mila su un totale di 12 mila. Resta però un colossale buco nero, comune a tutte le città e tutte le procure. Una rassegnazione delle istituzioni che si scontra con il bollettino di guerra dei colpi, che nell’ultimo decennio sono aumentati a Milano del 229 per cento, a Firenze del 177 per cento, a Torino del 172 per cento, a Padova e Palermo del 128 per cento, a Roma e Venezia del 120 per cento, a Bologna e Verona quasi del 104.

E le forze dell’ordine cosa fanno? L’ultimo bilancio completo riguarda il 2013, quando ci sono stati 251.422 furti in casa. In meno della metà dei casi è stato aperto un fascicolo. Poi, secondo il Viminale, le indagini hanno portato alla denuncia a piede libero di 15.263 persone, ma quasi un decimo sono minorenni. Gli arrestati invece sono meno della metà: 6.628, di cui 486 minori. Ma in cella restano pochissimo. Tanto che oggi i detenuti sono 3600, di cui 2075 italiani, mentre il numero dei reati è aumentato.

Perché l’impunità arriva a livelli così alti? La prima risposta degli investigatori è chiara: le indagini non sono semplici. Spesso sono gang in trasferta che non lasciano traccia: prendono di mira una zona, poi cambiano territorio di caccia. E solo in pochi casi le impronte digitali lasciate sulla scena del crimine riconducono a un profilo già schedato. Anche se una lamentela delle vittime è che raramente agenti e militari cercano le impronte.

La scienza in questo campo appare come un’eccezione, ci si abitua a vedere in tv le mirabolanti imprese di Ris e Csi, ma le tute bianche non intervengono quasi mai dopo i furti. A Napoli alcuni anni fa i carabinieri repertarono il dna di una banda che per spregio defecava negli alloggi svaligiati, riuscendo così a incastrarla. Una vera rarità.

L’altra giustificazione invocata dagli operatori è la carenza di risorse, la stessa che affligge tutto il settore della sicurezza. Il sindacalista Daniele Tissone, che rappresenta il Silp, ossia la Cgil della polizia, spiega: «Le pattuglie sono diminuite, manca il personale e i mezzi scarseggiano. Un esempio? In molte occasioni gli agenti attendono in ufficio la macchina del turno precedente».

C’è anche però un altro difetto, più tecnico: «Per indagini che puntano a bande organizzate l’attività di intelligence è quantomai complessa e ha senso solo nel caso si dimostri una associazione a delinquere, condizione che permette la richiesta di arresti», prosegue Tissone. Qualche operazione brillante viene messa a segno. La scorsa settimana dodici persone sono state arrestate dalla polizia di Firenze. Professionisti originari dell’Est, che sfruttavano due badanti per recuperare notizie preziose sugli appartamenti da ripulire. Le badanti-spie fornivano orari, abitudini e segnalavano la refurtiva “interessante”. Così invece di prendersi cura dell’anziano lo vendevano alla gang, composta da criminali di peso: uno di loro, hanno sottolineato gli inquirenti, è collegato alla mafia russofona.

Paradossalmente però è più facile contrastare una banda di maghi del settore. In questi casi infatti le indagini vengono gestite dagli uffici specializzati. E basta un indizio perché l’istruttoria si arricchisca di particolari, di nomi e cognomi. La gang toscana per esempio è finita nel mirino per aver utilizzato un “compro oro” sospetto per ricettare la merce: una pista decisiva per smascherarli. È molto più complicato catturare i cani sciolti: colpiscono senza una logica, selezionano a caso gli obiettivi e possono aspettare molto tempo tra un colpo e un altro. Il compito ricade spesso su commissariati e stazioni di quartiere, ingolfati da una pletora di attività d’ogni genere, che non riescono a trovare tempo e uomini per intervenire.

DIFESA FAI DA TE

Tutte motivazioni fondate, ma non bastano a soddisfare le vittime, alle prese da un decennio con l’inarrestabile escalation dei predoni. Tanto che in tutta Italia i residenti dei quartieri più bersagliati scelgono la difesa fai da te: presidiano il territorio, si uniscono in comitati e sfruttano le nuove tecnologie per controllare i quartieri. Si ingegnano perché spesso non percepiscono l’impegno delle forze dell’ordine su questo fronte. E lo stesso fanno diverse amministrazioni comunali che firmano accordi con società di vigilantes offrendo ai residenti servizi low cost di sorveglianza.

Questa débâcle dell’ordine pubblico apre la strada a una giustizia privata che finisce anche per rivolgersi alle mafie. Offrendo una ricompensa per ottenere la restituzione del bottino. Si va dal “referente” di zona per cercare di recuperare gioielli, auto o scooter. Per ritrovare la collezione di orologi trafugata nella sua villa Gigi D’Alessio – come ha rivelato “l’Espresso” – ha chiesto persino l’intervento dei servizi segreti mentre le intercettazioni di “Mafia capitale” hanno documentato l’intervento degli uomini di Massimo Carminati per risolvere la questione.

L’assalto alle case è un fenomeno trasversale. Ci sono i due anziani della provincia emiliana che hanno perso tutto nell’ora in cui si erano allontanati per andare alla via crucis del paese, la giovane coppia che trova l’appartamento svaligiato dopo una giornata di lavoro, l’attico ai Parioli dell’attrice Vittoria Belvedere violato nonostante l’allarme fino alla moglie di Antonio Catricalà, l’ex sottosegretario e viceministro, che rientrando in anticipo ha sorpreso in malviventi. I ladri non guardano in faccia nessuno. «La famiglia ha subito un cambiamento epocale. Le case sono sempre meno vissute, sempre più vuote per molte ore al giorno», spiega il sociologo Marzio Barbagli, tra i massimi esperti nei temi della sicurezza urbana. «E questo incide sulla scelta dell’obiettivo da parte dei malviventi, che prendono di mira le abitazioni dove il rischio di trovare qualcuno all’interno è basso».

Nell’Italia che ancora soffre la crisi, le case svaligiate non fanno che acuire insicurezza e rabbia. «È un fenomeno che influisce in maniera rilevante sulla percezione di sicurezza», riconosce Marco Dugato, ricercatore di Transcrime. Anche se il rischio poi cambia da territorio a territorio: «Noi sappiamo che la probabilità di subire un furto varia in maniera molto rilevante a seconda del luogo e del momento». Per prevenire è fondamentale studiare il profilo del bandito: «Si va dal ladro non specializzato che coglie l’occasione del momento, come una finestra lasciata aperta, a veri professionisti fino ad arrivare alle bande organizzate che pianificano i colpi con largo anticipo». Se per scoraggiare gli inesperti basta un semplice adesivo che segnala la presenza di telecamere, la videosorveglianza serve a ben poco quando in ballo ci sono i gran maestri scassinatori. «In generale si può dire che gli effetti della videosorveglianza sul numero di reati sono controversi, mentre sicuramente rassicura i residenti», conclude il ricercatore.

C’è anche un altro elemento che rende gli occhi elettronici pressoché inutili: i sistemi collegati alle sale operative di polizia e carabinieri non garantiscono l’intervento, salvo che una pattuglia non si trovi a passare in zona. Molto più utili sono i software che inviano all’istante sul cellulare le immagini registrate nell’abitazione. Il proprietario ha così la possibilità di verificare in diretta eventuali ombre anomale e segnalarle immediatamente al 112 o al 113.

Sperando che ci sia una volante in grado di intervenire. Ma la sensazione di insicurezza aumenta con il crescere degli assalti impuniti. E apre la strada ai peggiori scenari, con il rischio di giustizieri improvvisati. A Treviso negli ultimi mesi c’è stato il boom di iscrizioni al poligono di tiro. Con casalinghe e anziani in prima fila per esercitarsi a sparare. Tutti dicono di sentirsi soli e insicuri. E – spiegano – per proteggersi, in fondo, un arma costa meno di un impianto d’allarme.